di L. Giorgi
Non è facile far capire cosa si prova quando tuo figlio nasce con dei problemi, quanta fatica e quanta forza siano necessarie per far crescere questo esserino indifeso. Quanto sia dura vederlo soffrire e non poterci fare niente e non farsi travolgere dai sensi di colpa. Vieni catapultata in un mondo sconosciuto e non è facile uscirne fuori, anzi, non vorresti uscirne mai. Personalmente sono stata aiutata molto da mio marito, ma anche dal mio lavoro, che mi ha permesso di distrarmi per qualche ora. Una cosa molto dura da superare è l’altalena di speranze e di batoste che riescono a darti ogni volta che ti muovi. Poi, col tempo impari a non attaccarti alle illusioni, ma a qualcosa di più importante, che è l’amore che ti lega a tuo figlio e riesci ad essere più serena e a superare le difficoltà con maggior tranquillità. Ma, ogni tanto, anche dopo tanti anni, i ricordi di quei giorni tornano, e non puoi evitare di sentire una morsa nello stomaco ogni volta che vedi un neonato che sorride o un fiocco appeso ad una porta.
Quando mio figlio è nato, ho capito che c’era qualcosa che non andava, guardando gli occhi del chirurgo, anche se non mi hanno fatto vedere il bimbo e non hanno fatto nessun commento.
Non dimenticherò mai quello sguardo.
Successivamente, al termine dell’operazione chirurgica, due medici, con molta fretta, mi hanno spiegato il problema, dicendo che mio figlio aveva una malattia genetica per la quale la sua pelle era più spessa del normale, perché cresceva troppo velocemente, sottolineando che in 35 anni di lavoro non avevano “mai visto una cosa come quella”. Con queste parole, che continuavano a martellarmi nella testa, mi hanno lasciata sulla barella, sola, in una stanzetta, per un tempo che mi è sembrato eterno. Non riesco a spiegare quello che ho provato in quel momento, era come se lì non ci fossi io, come se fossi lo spettatore di un incubo vissuto da qualcun altro. Poi è arrivato mio marito ed abbiamo pianto insieme. Da quel momento lui è stata la mia salvezza e la mia forza.
Non posso raccontare cosa ho provato la prima volta che ho visto mio figlio dai vetri del reparto, e nemmeno quando l’ho preso in braccio la prima volta, diversi giorni dopo la sua nascita. Quando però l’ho allattato al seno è stata una grande emozione e lui ha iniziato a succhiare, come se non avesse avuto bisogno soltanto del latte. Nonostante avessi mascherina e cuffia e fossi circondata da strumenti, da infermiere e da odori di disinfettanti, da quel momento l’ho sentito veramente come mio figlio.
I giorni, i mesi, gli anni successivi sono stati duri ed eravamo soli ad affrontare una cosa talmente grande. Dopo 50 lunghi giorni di terapia intensiva, finalmente lo abbiamo portato a casa con noi ed abbiamo iniziato a doverci confrontare con situazioni sconosciute. Nonostante tutti i nostri sforzi per tenerlo idratato e morbido, era sempre pieno di tagli. La sua pelle secca gli limitava i movimenti e ogni passo della crescita è stato per lui un’impresa: niente gli veniva naturale, e niente veniva dato per scontato, doveva essere spronato con dolcezza e fermezza. Quando però riusciva era una grande soddisfazione per tutti e tre. Oltre a tutti i problemi pratici, inoltre, dovevamo affrontare anche quelli psicologici. Abbiamo incontrato persone pessime, ci siamo scontrati con medici superficiali, incapaci e privi di umiltà e di sentimento. Ci hanno fatto sentire come se fossimo gli unici ad avere questo problema, del quale noi, peraltro, non avevamo mai sentito parlare prima. Abbiamo lottato contro un mondo ostile, curioso e cattivo. Anche molti amici e parenti erano a disagio e preferivano evitare di vedere questa sofferenza. Non nego che ad un certo punto puoi arrivare a provare un odio profondo verso il mondo intero. Non è per niente semplice superare questi momenti, ma è assolutamente necessario per il benessere di tuo figlio.
Così ci siamo uniti e dati forza, proteggendoci a vicenda. Ci sono state vicine soltanto poche persone, veramente troppo poche.
Quando sono entrata in contatto, tramite internet, con un ragazzo con lo stesso problema mi è sembrato di rinascere: non eravamo più gli unici al mondo. Col passare del tempo ho scoperto che eravamo tanti e che ci potevamo aiutare a vicenda.
I primi tempi avevamo il terrore di affrontare “la gente”. Poi, piano, piano, abbiamo imparato a minimizzare, se non addirittura ad essere indifferenti alle voci, fino quasi a scherzarci e a riderne. Abbiamo imparato a camminare a testa alta.
Da soli abbiamo affrontato le difficoltà, cercato soluzioni, inventandoci di tutto, seguendo l’istinto, perché nessun medico si prendeva la briga di seguirci. Qualcuno addirittura ci ha detto che non serviva più che lo visitasse, tanto non poteva farci niente……
Abbiamo sentito i consigli più strani: deve mangiare solo carne, non deve mangiare carne, niente latte, tanto latte, il sole fa male, il sole fa bene, fino a non sopportare più di essere presi in giro e di torturarlo con visite, esperimenti, analisi inutili.
Per questo abbiamo smesso di chiedere e abbiamo iniziato a fare.
Purtroppo abbiamo anche sbagliato: forse troppo tardi abbiamo capito che si doveva fare qualche cosa per i movimenti e nessuno ce lo aveva mai consigliato. Prima fisioterapia, poi ginnastica riabilitativa, tutto molto noioso e triste e senza mai trovare persone adatte che capissero cosa fare e come.
Abbiamo pensato allora che il miglior modo fosse mascherare da giochi, la ginnastica. Così da qualche anno lui gioca a calcio, va in bici, fa corsi di tennis, di sci e di pianoforte, e soprattutto piscina…………Ah! Se qualcuno ci avesse suggerito la piscina anni fa, forse ora sarebbe tutto più facile, ma ci siamo dovuti arrivare da soli, come sempre.
E questo è molto triste.
Non so se abbiamo sempre preso le decisioni migliori, anzi, sicuramente abbiamo sbagliato spesso.
Abbiamo però cercato di trasmettergli le nostre energie e la voglia di vivere attraverso coccole, risate e qualche rimprovero ed abbiamo cercato di fargli imparare la cosa più importante: la stima e la fiducia in se stesso.
Quello che è certo è che gli abbiamo sempre dato tutto il nostro amore, incondizionato e profondo e che lui ci ha ricambiati con il suo affetto e la sua grinta.
Lui ora è sereno, ha molti amici che gli vogliono bene e che, in lui, vedono un ragazzo sensibile e generoso, senza quasi accorgersi di quello che ci sta “fuori”.
E noi siamo fieri di avere un figlio così dolce, intelligente, simpatico, ma anche orgoglioso, forte, testardo e coraggioso, insomma, speciale.