Una malattia rara che colpisce la pelle. Il lungo viaggio di speranza e difficoltà verso la conquista di una preziosa unicità. “Che stufazione, se fossimo tutti uguali!”
Cloe nasce in una piovosa giornata di autunno, il 30 Novembre del 2010, inaspettata, con tre settimane di anticipo, molto prima del previsto. Ancora ricordo le numerose ostetriche che mi ruotavano intorno pochi attimi prima che lei venisse alla luce. Io e mio marito non avevamo neppure voluto sapere quale fosse il sesso. Per noi sarebbe stato “Cloe” o “Mattia” e di lì a poco l’avremmo scoperto. Eravamo tutti curiosi. L’unica cosa che interessava a me e ad Andrea era far venire al mondo e mostrare il frutto del nostro amore, in qualunque modo si fosse presentato a noi. L’avremmo amato infinitamente perché era nostro!
Così nasce Cloe. Sono ancora confusa e stremata dalla fatica e dai dolori delle ultime spinte. Mi intenerisco guardandola e provo una gioia infinita quando, solo per pochi istanti, me la poggiano sul seno. Attimi fugaci perché di lì a poco me la portano via. La mia piccola piange e mentre lo fa iniziano a creparsi gli angoli della bocca, la pelle. La carne inizia ad aprirsi. Tutti si mobilitano per fare una diagnosi celere e dopo mesi di attesa e aspettative, adesso non posso neppure stringere il mio fagottino tra le braccia. Troppo rischioso, mi si dice, deve andare in ambiente sterile subito, in incubatrice, e ancora vediamo se supera le prime 24 ore di vita. Io volevo mia figlia, ma non potevo averla, neppure l’avevo conosciuta e già me l’avevano sottratta, era arrivata con ventuno giorni di anticipo e neppure sapevo se sarebbe sopravvissuta le ore successive.
Ero sgomentata, il dolore dell’anima superava di gran lunga quello corporeo. E mi sentivo impotente, ma poi pensavo a Cloe, piccola e indifesa, lontana dai mie odori e dai miei rumori, dalla mia voce, e mi facevo forza. Dovevo reagire per aiutare lei, perché aveva un immenso bisogno di me e del suo papà. Non mi interessava sapere cosa avesse, mi interessava esserle perennemente accanto. Cosa che per i primi venti giorni di vita non mi è stato quasi possibile.
Ancora ricordo quando il giorno che si è deciso di trasferirla al Bambino Gesù, un’infermiera ha letto nei nostri occhi il dramma di non averla ancora potuta prendere in braccio e finalmente, anche se per poco, bombardati di camici e guanti, la nostra piccola era con noi, eravamo finalmente in tre, stretti l’un l’altro.
Era il 4 Dicembre 2010.
E’ stato bellissimo, emozionante e troppo breve. Dovevamo fare presto. L’ambulanza fuori era pronta per portarla all’altro ospedale e ancora una volta ci saremmo divisi: lei nell’ambulanza e nella nostra macchina, a seguire, io e il suo papà. Ricordo come fosse ieri quanto sembravano interminabili gli attimi di attesa. Noi eravamo già al Bambino Gesù, Cloe non arrivava. Attimi di panico. Quando l’ho vista arrivare mi si è stretto il cuore. Era piccolissima, 2,450 Kg per 46 cm, quasi scompariva nella sua incubatrice, anche se si dimenava e si agitava parecchio forse, amore di mamma, per i forti dolori. Siamo state insieme lì per 16 giorni, i più lunghi della mia vita, ma anche i più intensi fisicamente e psicologicamente. Non la abbandonavo quasi mai, salvo quando lasciavo a mio marito il tempo di stare con lei, perché anche lui aveva il diritto di farsi conoscere. Noi eravamo avvantaggiate dai nove mesi di stretta convivenza.
Il 10 Dicembre ho potuto finalmente provare la gioia profonda di poterla allattare al mio seno, una fatica immensa per lei, uno scricciolo che si stancava subito, che però non demordeva. La sua forza è stata la mia. Dovevo fare tutto ciò che fosse in mio potere per farla star bene. Ho imparato, insieme a mio marito, a prendermi cura di lei, metterle la crema. Ogni spalmata di crema era una atto d’amore, ed eravamo gelosissimi di quel gesto che era un rituale tutto nostro.
La diagnosi ci è arrivata già nelle prime ore di vita; Cloe era nata con una rara malattia della pelle a trasmissione genetica, l’ittiosi. Poi ci sono voluti mesi e sono stati necessari altri esami, consulenze di diversi specialisti e ricoveri per confermare che non fosse un’ittiosi sindromica, che non avesse interessato anche il cervello, ma che fosse interessata “solo” la pelle. Semplice a dirsi solo la pelle. Per te è l’Amore della tua vita, ragione della tua esistenza ma per gli altri, per i loro sguardi indiscreti, ottusi, intimoriti o addirittura schifati capisci che “solo” non significa nulla. La gente non perdona, anche le persone a te più care non capiscono, non ti sostengono, hanno paura. Per noi Cloe è bellissima, dentro e fuori.
Oggi Cloe ha 6 anni. E’ una bimba solare, simpatica, che ama il canto e la ginnastica artistica, entrambe cose che le riescono molto bene. E ha una voglia infinita di vivere. Spesso mi chiedo se fosse capitata in un’altra famiglia, quale impronta avrebbe avuto la sua esistenza e dunque il suo carattere.
Io la “amoro”, tutta, dalla testa ai piedi.
Ho sempre pensato, forse anche per la mia formazione, che il corpo e la mente, così come il cuore e la psiche, siano strettamente interconnesse tra loro e che dunque per far star bene Cloe, non ci dovessimo limitare solo a curare il suo corpo, ma anche la sua anima. Non le abbiamo mai nascosto la sua diversità, anzi l’abbiamo sempre esaltata come qualcosa di raro e speciale, di cui andare fiera, da mostrare con orgoglio agli altri.
L’anno scorso abbiamo vinto con una sua foto il concorso “Il volo di Pegaso”, incentrato sulle malattie rare. Qualche giorno dopo aver ritirato la nostra targhetta, Cloe ha mostrato contenta ai suoi compagni di classe il suo trofeo e a tutti diceva gaudente Eh, io sono nata così, Io ho una pelle delicata, Io ho una malattia rara, proprio ad accentuare la bellezza della sua diversità.
Non è stato sempre facile, e ancora molte volte non la sarà. La società omologa rinforza, ahimè, l’idea di uguaglianza tra gli individui, trascurando il valore della diversità come un’opportunità di crescita per i singoli e per l’intera comunità. Ciascuno dovrebbe essere considerato nella sua singolare unicità. Perché, come direbbe Cloe, che stufazione se davvero fossimo tutti uguali dentro e fuori. E come sarebbe noiosa e banale la nostra esistenza! Non riusciremmo neppure a distinguerci l’Uno dall’Altro e perderemmo completamente il senso di individualità, il nostro Io.
La mamma di Cloe
Tratto da: http://www.ospedalebambinogesu.it/cloe-cosi-diversa-cosi-bella#.WO9bjOmznIU